Parla Jessica Defino, la beauty editor che dice solo la verità
La sua newsletter si chiama The Unpublishable (l'inpubblicabile) perché del beauty dice tutto quello che nessuno/a ha il coraggio di dire.
Di newsletter beauty non ce ne sono tante. Strano che la più famosa in assoluto sia una newsletter che non parli di bellezza in modo positivo, ma al contrario si focalizzi su luoghi comuni, falsi miti, obiettivi non realistici, strategie di marketing con messaggi fuorvianti. Lei si chiama Jessica Defino e la newsletter a cui mi riferisco si intitola, non a caso, The Unpublishable, l'inpubblicabile.
Se non la conoscete dovete assolutamente seguirla perché come scrive l’Huffington Post:
“The Unpublishable basically gives the middle finger to the entire beauty industry,”
Ma chi è Jessica Defino?
Jessica è una giornalista – si definisce beauty reporter and critic –, scrive per il New York Times, il Sunday Times, Vice e sul Guardian ha una rubrica fissa che si chiama Ask Ugly. In passato ha lavorato per l’app ufficiale delle Kardashian/Jenner. E come le è venuta l’idea di scrivere The Unpublishable inimicandosi il 99% dei brand beauty, me lo ha raccontato nell’intervista che potete leggere qui:
Mi racconti come è nata The Unpublishable e come sei passata dall’essere una beauty editor “classica” a una temuta beauty critic?
«Ho iniziato durante la pandemia. In quel periodo lavorare come free lance era davvero difficile. Quasi tutti i giornali avevano congelato i budget per i collaboratori quindi ho pensato che dovevo trovare un’alternativa. Così è nata la newsletter e non avendo investitori a cui rendere conto, non avendo una testata da dover tutelare, posso davvero scrivere quello che voglio».
Perché, secondo te, non ci sono molte newsletter beauty?
«I motivi sono molteplici. Quando sei una beauty editor si stabiliscono delle relazioni importanti con i brand inserzionisti del magazine per cui lavori e questo rende difficile essere davvero indipendenti. Conta anche il fatto che si ricevono tanti prodotti, si partecipa a viaggi stampa meravigliosi, le spa ti invitano a provare i trattamenti… Una volta mi è capitato che mi regalassero una gift card di $200 di Barney senza nessun motivo specifico. Rinunciare a tutto questo non è facile»
Non ricevi più nessuno prodotto da provare?
«No»
È stato facile fin dall’inizio? Voglio dire: hai subito avuto tanti iscritti?
«Quando ho aperto la newsletter avevo già 50mila follower che mi seguivano su Instagram quindi la base da cui sono partita era già considerevole. È stato comunque un po’ complesso avviare il progetto ma i subscriber hanno iniziato ad aumentare da subito. Era ancora un periodo in cui c’erano poche newsletter e forse questo ha aiutato».
«Ed essendo una voce indipendente, mi sono arrivate subito richieste per partecipare a dei podcast e parlare dell’industria cosmetica».
Non hai avuto bisogno di qualche esperto di digital marketing che ti ha dato delle dritte?
«No. L’unica strategia che ho messo in atto è che non ho cercato di farmi pubblicità sui social. Ero stufa di Instagram e odiavo fare promozione chiedendo a chi mi seguiva di iscriversi alla mia newsletter. Così, dopo qualche mese, ho deciso di smettere di parlare di The Unpublishable sui social e ha funzionato».
«L’idea era: chi vuole leggermi, chi apprezza il mio lavoro, deve iscriversi. Non c’erano (e non ci sono) altre possibilità»
Pensi che le newsletter siano davvero l’unico media in cui poter essere liberi di esprimere il proprio pensiero?
«Sì. Anche se per me non è facilissimo rispondere a questa domanda perché non ho lavorato per tanti media diversi, solo per dei magazine femminili tradizionali e poi per la mia newsletter. La libertà che ho adesso è assoluta. Da freelance invece i miei testi erano editati e se ero vagamente critica nei confronti di qualche brand, le mie parole venivano addolcite. Altre volte invece, mi chiedevano di citare marchi che non c’entravano nulla con la storia che stavo raccontando. E sicuramente il mio pezzo non migliorava, anzi. Ma sono le politiche standard dei media».
«Quando lavori per un giornale, sei immersa in quelle dinamiche e non puoi sottrarti a quei meccanismi. Ecco perché in alcuni casi ai giornalisti non è permesso ricevere regali: è una cosa che ti fa cambiare completamente prospettiva e obiettività».
Però, da quando pubblichi The Unpublishable sei tornata a scrivere per i giornali “tradizionali” – New York Times, the Cut, the Guardian – che non ti chiedono di scrivere pezzi classici da beauty editor. Sei libera di dire davvero quello pensi, giusto?
«Su The Guardian ho una rubrica mensile non così specificamente di beauty dove ho libertà di azione e posso usare lo stesso tono della mia newsletter.
In generale ho capito che i lettori sono molto interessati a leggere una voce più critica nei confronti dell’industria beauty, una voce che non sia “fluffy”, che non sia sempre positiva, dedicata, idolatrante»
«Mi è capitato invece che il NYT mi chiedesse di scrivere di skincare dicendomi che avrei potuto comportarmi come in The Unpublishable. Poi però sono stata editata perché non dicevo niente che a loro facesse comodo. È stata un’esperienza deludente»
«E alla fine ho pubblicato integralmente quello che sarebbe dovuto uscire sul New York Times nella mia newsletter ed è stata l’ennesima prova che l’unico spazio dove essere veramente libera è The Unpublishable».
Quali altri newsletter consigli di leggere?
«Ne leggo tantissime: amo Leandra Meine Cohen, The Cereal Aisle che parla di moda. Un’altra magnifica è It's Not Sustainable di Tiffanie Dark. Poi Hung up di Hunter Harris, Erin in the Morning …»
Che tipo di lettori sono quelli delle newsletter?
«Esistono poche newsletter indirizzate a un pubblico giovane, quindi anche la mia audience è più matura: molti hanno la mia età (34 anni, ndr) e anche di più: ho molti lettori di 50 e 60 anni che sono molto coinvolti e commentano spesso.
Molte donne sono stanche di tutta la comunicazione sugli anti-età e hanno voglia di leggere altro relativamente alla bellezza.
Pensi che le newsletter siano il futuro?
«Sì. La libertà non riguarda solo i contenuti ma anche gli algoritmi. Nelle newsletter non ti devi preoccupare di ottimizzare la ricerca con parole chiave perché sennò l’algoritmo non ti premia».
«Questo libera la creatività. L’editoria è bloccata da questi vincoli e mi dispiace dirlo ma sta implodendo. Ci sono tanti giornalisti che, non lavorando più o molto meno, hanno deciso di aprire una newsletter. Ma forse non abbiamo bisogno di così tante newsletter. Avremmo bisogno di più media istituzionali sostenuti da investitori pubblici e non privati. Il giornalismo vero. Fino a quando questo non succede, l’alternativa sono le newsletter
Beauty Pills
Sapete cosa sono le Sephora Kids?
Sono le tweens (ragazzine tra i 9 e i 12 anni) ossessionate dal beauty e dai cosmetici. Ne ho parlato in un articolo uscito su D qualche settimana fa e che adesso trovate qui sul sito di D.
La felicità non è un mito
📖 È il titolo di un libro che mi incuriosisce (edito da Sperling &Kupfer). Premetto che non l’ho letto, quindi questa non è una recensione. Ma, come vi anticipavo, mi incuriosisce molto. Scritto dalla pisicoterapeuta Michele Mezzanotte, il libro guida all’individuazione dei segnali e delle ragioni dei malesseri quotidiani insegnando a riconoscerli attraverso le metafore archetipiche dei miti greci.
Se lo leggete prima che lo legga io ditemi com’è.
La Gym Face brevettata
Solo® di Mimix.Life è un beauty device e un dispositivo medico per la riabilitazione muscolare e neurologica di viso e collo.
Mimix.Life è una startup italiana che ha brevettato questo “peso” per l’allenamento di viso e collo che ha ottenuto l’approvazione del Ministero della Salute come dispositivo medico di classe 1. Devo provarlo: dicono che bastano 3 minuti al giorno. Stay tuned.
Come esorcizzare un ricordo traumatico dell’infanzia
Vi ricordate quando da bambini avete avuto i pidocchi? Non fate no con la testa perché vi è capitato (o vi sta ancora capitando se avete dei figli in età scolare). Quando mi capitava, mia madre mi metteva l’aceto sui capelli umidi perché diceva che allontanava i piccoli parassiti. In realtà non è proprio così: l’aceto scioglie quella sostanza che fa in modo che le uova aderiscano ai capelli. Comunque, a parte questa nota tecnica, quello che mi ricordo è che i miei capelli puzzavano da morire ma erano lucidissimi.
Quando quindi ho scoperto questo prodotto di Yves Rocher a base di aceto, che si mette sulle lunghezze per risvegliare la luminosità, ho pensato: devo provarlo!
L’ho provato: non puzza e lucida i capelli!
È tutto! Al prossimo Lunedì
Conosci la marca Italiana ‘BAKEL’? Zero ingredienti inutile.
Il libro sarà il mio prossimo acquisto! Grazie